Oggi termina “Chi ha paura dell'illustrazione?” e prima di iniziare, vorrei prendermi un piccolo momento per riflettere. Questa rubrica è iniziata un anno fa: 12 sono gli articoli usciti in cui, insieme, abbiamo esplorato gli angoli dell'illustrazione gotica e malinconica. Libri bellissimi dalle edizioni preziose che ci hanno aiutato a vedere come l'illustrazione abbia la forza di affrontare e raccontare situazioni ed emozioni complesse, navigando con cautela attraverso acque cupe e torbide che ci portano ad un iniziale senso di spaesamento per poi mostrarci come la bellezza si possa nascondere anche dietro a ciò che ci spaventa.
Sono molto grato di aver avuto la possibilità di curare questa rubrica e quindi vorrei cogliere l'occasione per alcuni brevi ringraziamenti: il primo va a Festival Illustrada che ha accolto con entusiasmo la mia idea di creare uno spazio virtuale in cui incontrarci e parlare di questi libri. Il secondo va a tutti gli autori e autrici, illustratori e illustratrici che hanno dedicato del tempo per sostenere questo progetto, regalando le loro preziose parole con cui hanno raccontato il proprio lavoro. Il terzo va a voi lettori e lettrici, che avete seguito con fiducia e costanza questa esplorazione della paura, fidandovi della mia guida.
Pensare che oggi la rubrica si concluda mi da una strana sensazione, una leggera malinconia che però ha un sapore dolce, perché per me questo è stato un viaggio bellissimo. E ora, dopo questa piccola introduzione, iniziamo pure.
Era da un po' che l'anatra aveva una strana sensazione.
“Chi sei, e perché mi strisci alle spalle?” domandò.
“Finalmente te ne sei accorta. Io sono la Morte”
Il libro di oggi è un vero e proprio classico. Uscito per la prima volta nel 2007, ha visto varie ristampe, a cui è stato portato dalla bellezza e raffinatezza che ne compongono le pagine. Del resto l'autore è Wolf Erlbruch e questo è già di per sé un ottimo marchio di garanzia. Erlbruch, nella sua carriera, si è distinto per la capacità di esplorare temi e approcci diversi, sperimentando numerose tecniche che l'hanno reso un artista poliedrico. Il libro di oggi, “L'anatra, la Morte e il tulipano”, insieme a “Chi me l'ha fatta in testa?” è uno dei suoi titoli più celebri e affronta un tema che abbiamo già incontrato nel corso di questa rubrica: la Morte.
La storia inizia con l'incontro tra un'anatra e la mietitrice, un incontro che all'inizio spaventa molto l'uccello, ma che, con lo svilupparsi della storia, porta a una grande consapevolezza. Le due, infatti, finiscono col passare molto tempo insieme nell'attesa che venga il momento dell'anatra di separarsi dalla vita. E in questo arco di tempo fanno bagni nello stagno, si arrampicano sugli alberi e discutono amichevolmente della vita e, naturalmente, della morte. La grande forza di questo albo è che Morte non viene presentata come un personaggio terribile di cui aver paura. Tutto di lei, dal modo in cui si esprime al design del personaggio, comunica tranquillità e imparzialità. Sì, perché la morte è imparziale. È un passaggio obbligato nella vita di tutti e proprio per questo non si pone con terrore e angoscia, ma con la calma e la gentilezza necessarie a far comprendere all'anatra (e a chi legge) che di lei non c'è da aver paura.
È complesso riuscire a rendere con tale eleganza un concetto del genere. Questo albo ci insegna l'importanza di scendere a patti con la fine, accogliendo l'idea che la nostra vita avrà un epilogo. E la cosa più importante è che ci insegna a farlo con grazia, tenendo le braccia aperte e pronte ad accogliere ciò che sarà.
Titolo: L'anatra, la Morte e il tulipano
Editore: E/O Anno di pubblicazione: 2007 Prezzo di copertina: € 14,00
Pagine: 32
Wolf Erlbruch è nato a Wuppertal, in Germania, ed è considerato uno dei più importanti illustratori europei. Nel corso della sua carriera ha lavorato a numerose pubblicazioni per cui si è aggiudicato numerosi premi, tra cui l' Hans Christian Andersen nel 2006.
DI
ANDREA OBEROSLER
Andrea Oberosler è un animatore e illustratore trentino.
Lavora per privati ed editori e nel 2019 sono usciti i suoi primi albi illustrati, tra cui “La Maschera della Morte Rossa e altri racconti” (ed. Bakemono Lab), un tributo a Edgar Allan Poe con cui comincia ad esplorare le potenzialità dell'illustrazione gotica. Nel 2019 vince il premio oro nella sezione editoria dell'Annual di Autori di Immagini.
"Mi stava guardando, controllandomi le dita e tutto il resto. Non ho aperto gli occhi, perché il mio compito era stare distesa, immobile, così che lui potesse sussurrare “Ah, la mia bella è addomentata.”
Un mito greco racconta la storia di Pigmalione, scultore, che creò nell'avorio la statua di un nudo femminile. Innamoratosi perdutamente della sua opera, si recò al tempio di Afrodite, chiedendo che venisse infusa la vita nel suo capolavoro. La dea acconsentì, così Pigmalione e la statua Galatea si sposarono, mettendo al mondo una figlia chiamata Pafo.
Il libro di cui parliamo oggi parte proprio da questo mito classico. Galatea (scritto da Madeline Miller, illustrato da Ambra Garlaschelli e edito da Sonzogno editore) racconta questa storia, ma in chiave moderna. Galatea, per gran parte del racconto, è chiusa in una stanza di ospedale, costretta a rimanere a letto e a ingerire intrugli (chiamati “tè” nel racconto) che le vengono somministrati da medici e infermiere. Queste lunghe giornate in ospedale vengono interrotte dalle visite del marito che in questo libro viene presentato come un uomo burbero, irascibile, che più che desiderare (e condividere) l'amore della statua, sembra volerla possedere e mantenere un controllo su di lei. Non è una storia d'amore, è una storia di possesso.
Non è la prima volta che l'autrice Madeline Miller traduce in chiave moderna i miti classici. Il suo romanzo d'esordio La canzone di Achillee il suo secondo lavoro Circe l'hanno consacrata come una delle principali autrici a livello internazionale. Galatea, però, non è un romanzo, ma un vero e proprio albo illustrato. Le parole sono accompagnate dalle immagini cupe e raffinate di Ambra Garlaschelli che ci trascinano all'interno della storia, facendoci percepire chiaramente l'animo e le sensazioni della protagonista.
Il bianco e nero la fanno da padrone in questo volume, con piccoli, intensi colpi di rosa che attirano lo sguardo del lettore come una calamita. Galatea è ricoperta di eleganti texture che richiamano la materia con cui venne costruita, quando “nacque” come statua.
Ma ora, come di consueto, conosciamo meglio l'illustratrice del libro, Ambra Garlaschelli.
Ciao Ambra, benvenuta su Illustrada. Ci racconti com'è nata la collaborazione per questo libro? Ciao a tutti! Grazie per avermi invitata :) La collaborazione per questo libro è nata un po’ per caso, in realtà. Sono stata contattata da Patricia Chendi, editor di Sonzogno Editori, (del gruppo Marsilio Editori), sotto consiglio di Felix Petruška (Mattia Elfo Ascari) illustratore e animatore, nonché nostro tramatole nell’ombra, che trovava il mio stile perfetto per il tipo di racconto.
La casa editrice, tra i vari talenti in catalogo, pubblica i libri di Madeline Miller per l’Italia. Negli ultimi anni questa scrittrice è letteralmente esplosa, prima in America, poi nel resto del mondo, riscuotendo grande successo anche tra i lettori italiani e vendendo milioni di copie con le sue storie che reinterpretano i miti greci in chiave molto attuale e moderna con un tipo di scrittura potentissima e allo stesso tempo molto delicata.
Oltre ai due romanzi principali, esisteva anche un piccolo racconto mai pubblicato di cui Sonzogno aveva i diritti per l’Italia con cui avrebbero voluto realizzare qualcosa di un po’ diverso. Essendo per l’appunto un testo molto breve, hanno pensato di proporlo in chiave illustrata per impreziosirlo e valorizzarlo al massimo.
Dopo essere stata contattata abbiamo quindi iniziato a ragionare insieme sul tipo di narrazione che poteva rendere in maniera più efficace la potenza del racconto. Ho fatto alcune proposte iniziali finché abbiamo trovato la direzione che più ci convinceva e l’abbiamo portata a termine. La casa editrice ha fatto davvero un lavoro pazzesco nella cura di questo libro, dall’inizio alla fine e soprattutto in fase di stampa (il vero dramma di un illustratore) finché non siamo arrivati a un risultato che rispecchiasse esattamente le mie tavole. Ed è così che è nata Galatea.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento? Cosa ti ispira?
Questa è una di quelle domande che mi mettono sempre un po’ in difficoltà. Credo sia lo stesso per chiunque faccia un tipo di lavoro che riguarda l’immagine. Gran parte del mio tempo libero lo passo guardando illustrazioni, fotografie, film o grafiche varie, sono continuamente bombardata da stimoli visivi (non solo per scelta, qua c’è di mezzo anche un discorso sociale ma chiudo subito la parentesi), per cui alla fine mi ritrovo assolutamente contaminata da tutte le cose che vedo e che mi piacciono e che in qualche modo assimilo a livello conscio o meno. L’ispirazione viene un po’ da tutto questo bagaglio di immagini che mi porto dentro. Poi ovviamente esistono sempre e comunque i grandi mostri sacri personali a cui vado a guardare ogni volta che ho bisogno di qualche spunto: Dave Mc Kean, Toppi, Jeffrey Alan Love, Edward Kinsella, Breccia, Icinori, Jorge Gonzalez, Daniel Danger, Anke feuchtenberger, Daniel Egneus, Jesse Draxler, Patrycia Podkoscienly, Patryk Hardziej, Mikael Siirila, TincaVeerman e tantissimi altri, escludendo fotografi, grafici e registi che non sto neanche a citare perché non abbiamo spazio. Capitemi.
Questa storia getta le sue radici nel mito di Pigmalione. I miti classici regalano sempre moltissimi spunti per un'esplorazione creativa. Che tipo di ricerca hai fatto per raccontare attraverso le immagini questa storia? Ritengo che la ricerca immagini sia una parte fondamentale del lavoro che faccio. Prima di iniziare è importantissimo studiare un po’ l’argomento da trattare e verificare se è già stato raccontato, come è stato raccontato a immagini, cosa funziona meglio e perché, cosa che oltre a chiarire le idee, dà sempre molti spunti e ispirazioni sulla modalità con cui si intende trattare il racconto. Per Galatea nello specifico ho fatto molte ricerche sui miti illustrati, sulla scultura e sulle statue classiche e cimiteriali. Per scelta editoriale avevamo a disposizione solo un colore (escludendo il bianco e nero) e il rosa mi è sembrato il colore migliore per questo tipo di storia, trattata in maniera forte e a tratti violenta ma allo stesso tempo molto femminile, delicata e poetica. Ho quindi optato per rendere la figura di Galatea attraverso texture che ricordassero la pietra, contrapposte a parti più grafiche o acquerellate in cui il rosa e il bianco riportassero un po’ di leggerezza. La parte più difficoltosa è stata trovare spunti visivi da abbinare al testo, perché la protagonista per quasi tutta la storia è rinchiusa in una clinica dove può essere controllata
dal marito, in seguito a un suo tentativo di fuga da una vita in cattività, insieme alla figlia Pafo, nella speranza di donare almeno a lei una vita libera e migliore della sua. Ogni giornata è quindi uguale alla precedente e capiamo cosa le è successo attraverso i suoi pensieri e la mancanza che sente per la figlia, cosa che rende un po’ difficoltoso il raccontare per immagini senza cadere nella ripetizione e senza essere didascalici.
Ci racconti che tecnica usi?
Di solito lavoro in digitale per questioni di velocità e comodità, soprattutto per questo tipo di lavori con scadenze ravvicinate in cui ogni modifica richiesta deve essere corretta in fretta e facilmente. Per altri tipi di lavori invece mi piace utilizzare l’incisione, nello specifico puntasecca e monotipo.
Principalmente, anche in digitale, lavoro con livelli di texture sovrapposte che creano la base della tavola. Trovo che diano spessore e profondità all’immagine e sono sempre molto interessanti, come lo è giocare con velature, trasparenze e sovrapposizioni. Dopodiché vado a raffinare le parti che mi servono disegnando il tratto sopra agli ingombri creati e aggiustando le luci per creare l’atmosfera ricercata. In alcuni casi mi piace giocare con elementi o tagli più grafici, proprio per spezzare e contrastare lo spessore delle texture utilizzate.
Titolo: Galatea
Editore: Sonzogno
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo di copertina: € 14,90
Pagine: 72
Ambra Garlaschelli è illustratrice e grafica freelance. Si occupa dei laboratori di incisione e tecniche di stampa allo IED di Milano ed è docente di tecniche di stampa e tecniche grafiche alla Scuola Internazionale di Comics di Milano. Collabora con diverse realtà editoriali tra cui Sergio Bonelli Editore, Sonzogno/Marsilio, Progetto Stigma, Eris Edizioni, Cranio Creations, MIT (Massachusetts Institute of Technology), Edizioni Tlon, Stripburger magazine, Lök Zine, T.I.N.A.L.S. e molti altri. In marzo 2021, il suo corto di animazione “Premise”, ora in lavorazione, vince il bando Short Film Fund di Torino e il bando Mibact.
Andrea Oberosler è un animatore e illustratore trentino.
Lavora per privati ed editori e nel 2019 sono usciti i suoi primi albi illustrati, tra cui “La Maschera della Morte Rossa e altri racconti” (ed. Bakemono Lab), un tributo a Edgar Allan Poe con cui comincia ad esplorare le potenzialità dell'illustrazione gotica. Nel 2019 vince il premio oro nella sezione editoria dell'Annual di Autori di Immagini.
“Prendere il mio lavoro seriamente sarebbe l'apice della follia”
Edward Gorey
Edward Gorey ha sempre avuto la fama di persona eccentrica, fuori dagli schemi, con un modo tutto suo di pensare il mondo e l'illustrazione. È sufficiente cercare qualche sua foto online per rimanere affascinati dal mistero e carisma che trasmette la sua figura. Autore estremamente produttivo, si è cimentato con l'illustrazione sia per produzioni teatrali che per il mondo dell'editoria, in cui ha oltre cento titoli all'attivo. Ma di tutti i libri pubblicati da Gorey il più celebre è senza dubbio “I piccini di Gashlycrumb” (titolo originale “Gashlycrumb Tinies”), portato in Italia da Adelphi nel 2013. Si tratta di un abecedario, ma non è come quelli che siamo abituati a immaginare. Se i classici abecedari aiutano i bambini a conoscere le cose del mondo (C di Cane, M di Mamma, ecc), questo ricollega ogni lettera all'iniziale del nome di un bambino o bambina morto/a in circostanze tragiche.
Vediamo “Amy che cadde dalle scale”, “Basil, cui gli orsi fecer male”, “Nevill che morì dalla noia”, creando un parterre di pericoli pronti ad agguantare i piccoli protagonisti, con orrore dei genitori. E proprio questi ultimi sono il bersaglio di Gorey: nel libro, infatti, non sono presentate morti fantastiche. Non ci sono orchi che rapiscono i neonati, non ci sono streghe che li cuociono in grandi calderoni, ma si tratta di una lunga sfilata di pericoli realistici, proprio per puntare satiricamente il dito contro quei genitori iperprotettivi nei confronti dei loro figli, che cercano di tenerli rinchiusi e “al sicuro” sotto una campana di vetro, impedendo loro di conoscere il mondo in tutti i suoi aspetti, belli e brutti.
La cosa curiosa di questo libro è che verrebbe da pensare che, vista la tematica e l'epilogo tragico delle vite dei protagonisti, i bambini ne siano spaventati e fuggano davanti a queste piccole pagine macabre. Al contrario, sembra proprio che, tra i bambini, questo sia il libro di Gorey di maggior successo.
Ho scoperto questo libro tanti anni fa grazie ai social e me ne sono subito innamorato. Per un appassionato di gotico come me questo è un vero gioiellino che assolutamente non può mancare in libreria. Purtroppo Edward Gorey è venuto a mancare nel 2000. Sarebbe stato un onore immenso poterlo intervistare per questa rubrica, ma possiamo pur sempre sfogliare i suoi libri e perderci tra le loro pagine, esplorando l'essere umano attraverso i suoi pennini e inchiostri, condividendone i momenti gioiosi insieme a quelli più tragici.
Titolo: I piccini di Gashlycrumb
Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 2013
Prezzo di copertina: € 14,00
Pagine: 64
Edward Gorey nasce a Chicago il 22 febbraio del 1925.
Dopo essersi diplomato ad Harvard nel 1950, s'immerge nella scena culturale Newyorkese.
Durante gli anni '60 pubblica diverse volte sotto pseudonimi come Ogdred Weary, Drew Dogyear, and Mrs. Regera Dowdy.
Nel 1978 vince un Tony Award per i costumi dello spettacolo di Broadway “Dracula”.
Muore a Hyannis, in Masachussetts, nel 2000.
DI
ANDREA OBEROSLER
Andrea Oberosler è un animatore e illustratore trentino.
Lavora per privati ed editori e nel 2019 sono usciti i suoi primi albi illustrati, tra cui “La Maschera della Morte Rossa e altri racconti” (ed. Bakemono Lab), un tributo a Edgar Allan Poe con cui comincia ad esplorare le potenzialità dell'illustrazione gotica. Nel 2019 vince il premio oro nella sezione editoria dell'Annual di Autori di Immagini.
“Una pillola ti fa diventare grande, e una pillola ti fa diventare piccolo. E quelle che ti dà tua madre, invece, non fanno alcun effetto.” - Jefferson Airplane
Il libro di cui parliamo oggi si apre con il testo di White Rabbit, la celeberrima canzone della band statunitense uscita nel 1967, un brano profondamente influenzato dalla cultura delle droghe degli anni sessanta e che sfrutta i mondi e creature surreali presentati in “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” per descrivere gli effetti di un viaggio sotto LSD.
Le opere di Lewis Carroll sono da sempre grande fonte di ispirazione e interpretazione per numerosissimi artisti a livello mondiale (le abbiamo citate anche nell'articolo dedicato a “La stanza doppia” di Laverve) e la cosa non cambia per l'autore di oggi.
Stefano Bessoni, classe 1965, è un autore, illustratore, regista e formatore di Roma. Nell'arco della sua carriera si è misurato con numerosi linguaggi, come l'illustrazione, il cinema e l'animazione stop motion, diventando una delle figure più riconoscibili nel panorama italiano grazie al suo immaginario gotico e perturbante.
Da poco è uscita una riedizione di un suo libro del 2012, “Alice sotto terra” con una veste aggiornata e rimaneggiata dal titolo “Alice sotto terra – White Rabbit edition” (ed. Logos).
In questo volume i celebri personaggi di Carroll appaiono in una sorta di parata attraverso cui l'autore ce li presenta mettendoci a conoscenza delle loro caratteristiche e peculiarità. Ma non si ferma qui il lavoro di Bessoni: nel rappresentarle le spoglia del loro aspetto più ironico e delicato a cui ci ha abituato la versione Disney, ma riporta in luce aspetti più bui e grotteschi riguardo a questi personaggi. Ed ecco che il Brucaliffo (che nel libro viene chiamato Bruco) diventa un accanito fumatore di narghilè, pipa, sigaro e della pelle essiccata delle sue mute. La Duchessa diventa una donna sgradevole che maltratta, strattona, sbatte il bimbo che culla per farlo smettere di piangere, fino a riuscirci. La Regina di Cuori diventa una creatura sanguinaria pronta a far decapitare chiunque osi guardarla in un modo a lei non congeniale, per conservare le teste in barattoli di formalina e dare il resto del corpo in mano al Tre di Cuori, appassionato di anatomia.
Questa sua volontà di far riemergere gli aspetti più macabri dei personaggi si riflette anche nel modo in cui li rappresenta: figure contorte e grottesche, talvolta immaginati come composti di parti di creature diverse, con corpi di animali e volti scheletrici. Un lavoro di ricerca che getta le radici nella passione dell'autore per le Wunderkammer e i tavoli anatomici.
Ma adesso parola a Stefano, che meglio di tutti ci può descrivere il suo lavoro e immaginario:
Ciao Stefano, benvenuto su Illustrada. Questo libro ha visto la luce per la prima volta nel 2012 e ora, a distanza di 9 anni, esce con una nuova edizione. Ci racconti come mai hai deciso di riprendere in mano il progetto e ampliarlo? Chi conosce un poco il mio lavoro si è ormai abituato a continui rimaneggiamenti, aggiunte, stravolgimenti in corso d’opera, perché considero ogni progetto un viaggio di ricerca, una riflessione aperta destinata ad arricchirsi senza impedimenti. Così, approfittando dell’occasione di una nuova edizione, ho voluto riprendere in mano questo strampalato ‘bestiario’ stilato con lo sguardo di un naturalista dall’animo vittoriano, diviso tra la passione per gli insetti, gli scheletri, gli spettri, la fotografia. Mi sono rimesso in viaggio tra gli abitanti del sottosuolo, osservandoli con uno sguardo macabro, quasi da ‘intruso’. Ho voluto continuare a giocare sostituendo ancora una volta “Paese delle Meraviglie” con “Sotto Terra”, perché Lewis Carroll aveva ambientato questo mondo nelle viscere della terra. In questa nuova incursione ho ritrovato Alice, ormai divenuta un’abitante di quel mondo celato nell’oscurità e rischiarato di luce propria, perfettamente calata nella realtà ribaltata che dovrebbe invece meravigliarla. Sono passati ormai tanti anni da quando ho cominciato a trascorrere del tempo con i personaggi immaginati da Carroll. Ricordo che era il periodo del liceo, quando cominciai a disegnare liberamente una mortifera bambina con i capelli a caschetto ispirata alla vera Alice Liddell, conigli scheletrici, bruchi psicotici e gatti sorridenti, senza seguire un’idea precisa. Le cartelline si riempirono di schizzi, acquerelli, incisioni, e arrivai a completare una prima serie nel 1989, che però non diventò mai un libro. Poi, quasi dieci anni fa, decisi di realizzare un piccolo taccuino di viaggio con schizzi e appunti sugli abitanti del Paese delle Meraviglie. Era la prima edizione di Alice Sotto Terra. Ricordo molto bene le classiche edizioni illustrate da John Tenniel o da Arthur Rackham, ma anche quella del pittore e incisore ceco Dušan Kállay, che rimane la mia preferita in assoluto, le fotografie di Vladimir Clavijo-Telepnev, o lo spettrale film di Jan Švankmajer, che un giorno lontano vinse la mia ritrosia nei confronti di Alice, suscitata dalla versione Disney, con i suoi smorfiosi nomignoli come Stregatto, Bianconiglio e Brucaliffo, edulcorata e canterina, spalancandomi le porte di un mondo inaspettato. Per comprendere la vera natura del capolavoro di Carroll è necessario approcciarsi al testo in modo completamente diverso da come ci hanno abituato le tante versioni banalizzate per ovvie esigenze commerciali. A tal fine può essere di aiuto The Annotated Alice, un’edizione dei due libri di Alice ragionata e commentata da Martin Gardner, dove ogni singolo personaggio, elemento e situazione vengono analizzati andando a ricercare possibili significati. Continuo a sperare che un giorno Marilyn Manson possa finalmente ultimare il suo controverso Phantasmagoria: The Visions of Lewis Carroll, un ambizioso quanto allucinato film che affonda nelle elucubrazioni deviate che gli scritti di quel timido reverendo vittoriano possono suscitare nei meandri più oscuri dell’inconscio.
Nelle tue immagini spiccano con forza riferimenti alle Wunderkammer e a tutto ciò che è grottesco a perturbante. Da dove nasce questo tuo interesse e qual è stato il percorso per integrare questi immaginari all'interno del tuo lavoro? Sicuramente uno dei pilastri della mia poetica è lo studio sul Perturbante di Sigmund Freud, dove si palesa il Doppelganger e al quale sono arrivato indirettamente, attraverso il racconto di E.T.A. Hoffmann L’Uomo della Sabbia, un racconto che vorrei affrontare in futuro come libro illustrato.
Anche la wunderkammer è un concetto fondamentale, considero il mio lavoro, in ogni sua accezione, una camera delle meraviglie dove rinchiudere tutto quello che in me desta stupore e meraviglia e trovo peculiare che in molte lingue la cinepresa sia chiamata camera, perché permette di catturare, immagazzinare e conservare, vincendo, in maniera del tutto aleatoria, il concetto di morte. Ho iniziato a interessarmi alle wunderkammer verso la fine degli anni Ottanta, in occasione di un’edizione della Biennale di Venezia dedicata ai rapporti tra arte e scienza. Cominciai a studiare gli scritti fondamentali di Adalgisa Lugli e a trasformare in stimoli espressivi le suggestioni che mi arrivarono dai curatori di questi musei peculiari, da Ferrante Imperato, Basilius Besler, Ole Worm, Manfredo Settala, Athanasius Kircher, fino alle raccolte dei surrealisti, alle scatole di Joseph Cornell e ai film- wunderkammer di Jan Švankmajer e dei Quay Brothers.
Quello che spinge alla creazione di una wunderkammer è il desiderio, o forse il bisogno irrefrenabile, di riunire in un luogo protettivo e magicamente astratto dalla realtà una campionatura del mondo il più possibile estesa. La wunderkammer era, ed è, un microcosmo a parte, generato secondo le regole di un demiurgo che attinge dal mondo circostante, trasformando una comune stanza in un museo del mondo, in un tempio consacrato all'accumulo e al possesso. Esistevano anticamente wunderkammer d'ogni foggia e dimensione, potevano essere allestite in una piccola stanza, contenute all'interno di un armadio o interessare un intero edificio. L'epoca di massimo splendore delle camere delle meraviglie terminò verso la metà del Settecento, con l'avvento del moderno pensiero scientifico, anche se l’impulso che spinge alla loro creazione sopravvive tutt'oggi forte come non mai, forse poiché coincide con un bisogno antico quanto l'uomo: quello di possedere e controllare l'universo in cui vive.
Mi rammarico però che oggi tutti ne parlino in maniera spesso superficiale, che molti abbiano cominciato ad appropriarsene, lavorandoci sopra e svilendone spesso l’essenza. Si è arrivati addirittura a favorire un mercato scellerato che ha sconfinato nell’antiquariato e nell’arredamento. Ma forse la colpa è anche un poco mia... Bisognerebbe a volte custodire gelosamente le proprie scoperte. Si, ho l’ardire di pensare che il mio continuo blaterare attorno a wunderkammer e scienze inesatte abbia contribuito a diffondere la curiosità per questo concetto.
Quali sono artisti del mondo del cinema e dell'illustrazione che ti hanno ispirato a trovare la tua cifra narrativa? Gli autori cinematografici che stimo e che inevitabilmente influenzano il mio lavoro, oltre naturalmente Jan Svankenmajer e i fratelli Quay, pionieri e scienziati pazzi di quella stramba disciplina che è l’animazione in stop-motion, sono tutti autori fortemente caratterizzati, riconoscibili dopo poche inquadrature e che possiedono uno stile inconfondibile ed una poetica molto vicina alla mia. Ammiro Jean Pierre Jeunet, per il suo mondo grottesco, fumettistico, colorato, poetico. Tim Burton, per il suo universo oscuro incentrato sulla diversità. Peter Greenaway, per il suo rigore scientifico, per il suo stile pittorico e per il suo essere barocco, enciclopedico, artificioso, anacronistico. Greenaway è il mio maggiore punto di riferimento. Il suo lavoro mi ha guidato nella faticosa costruzione di una poetica e mi ha fatto capire molte cose, come per esempio che bisogna sempre fidarsi solamente dell’opera e non dell’autore. Lo seguo e lo stimo tuttora, alla soglia dei suoi ottant’anni e il mio sogno sarebbe dedicargli una biografia disegnata che mi permetta di manifestare nelle illustrazioni tutta la fascinazione e la gratitudine che provo per lui, qualcosa di libero, aperto alle sperimentazioni e alle contaminazioni.
Poi mi piace Guillermo Del Toro, per i suoi personaggi usciti direttamente da un vecchio libro di fiabe trovato in un vecchio baule in soffitta. Roman Polansky per la sua teoria del complotto, per la fobia per gli spazi chiusi e per la sua faccia da attore ideale di sé stesso, che come nessun'altro riesce ad incarnare il proprio doppio. Terry Gilliam per il suo folle baraccone di curiosità e stranezze che lo trasforma in un moderno Barnum. E ancora, Wim Wenders, Werner Herzog, Derek Jarman, Ken Russell, Federico Fellini...devo fermarmi, ma sarebbe un elenco assai lungo. Poi ci sono i fotografi Joel Peter Witkin e Roger Ballen, che rappresentano una ferma e continua sorgente di suggestioni preziose per la mia ricerca espressiva.
Per l’illustrazione invece, escludendo gli autori storici, provo una profonda ammirazione e invidia per Dušan Kállay, prima citato per la sua versione di Alice, per Stefan Zsaistits, Lars Henkel, Dave McKean, Roland Topor, Lisbeth Zwerger, adoro i teatrini macabri di Elizabeth McGrath... ma, anche qui sarebbe una lista interminabile.
Ci racconti che tecnica usi?
Io non mi considero un illustratore, ma uno ‘scarabocchiatore’ e quando vedo i lavori degli altri illustratori sono colto da profondi complessi d’inferiorità. Il mio lavoro con le immagini non è un rigoroso esercizio di tecnica e di stile, bensì un semplice modo per catturare e fermare idee. Mi piace schizzare con la matita, a volte usare gli acquarelli, le tempere e gli acrilici, per giocare con un po’ di materia e forzare la bidimensionalità che il foglio di carta impone, in ogni caso cerco sempre di lavorare in velocità, per non essere sopraffatto dalla ricerca effimera dell’effetto estetico e dalla mia proverbiale pigrizia.
Utilizzo quindi una tecnica molto mista, che mescola su carta acrilico, acquarello e matita, a volte anche collage. Poi lavoro digitalmente, compositando tutti gli elementi che formeranno l’illustrazione finale. È paradossale, perché, nonostante il fatto che un buon novanta per cento del processo avvenga con tecniche tradizionali, alla fine l’immagine è digitale e quindi virtuale, totalmente effimera e votata al dissolvimento improvviso.
Titolo: Alice sotto terra – White Rabbit edition
Editore: Logos Edizioni Anno di pubblicazione: 2021 Prezzo di copertina: € 17,00
Pagine: 88
Stefano Bessoni è illustratore, regista cinematografico e animatore stop-motion. Si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha realizzato diversi film sperimentali, installazioni video, performance e documentari, attirando l’attenzione della critica e ricevendo numerosi premi in occasione di festival nazionali e internazionali. Ha insegnato regia presso la NUCT – Scuola Internazionale di Cinema e Televisione a Cinecittà e presso l’Accademia di cinema e televisione Griffith di Roma, dove è stato titolare di un corso di alta specializzazione dedicato al cinema visionario e fantastico. È coordinatore e docente del corso triennale di illustrazione e animazione presso la Scuola di Design, Moda, Arti visive e Comunicazione IED di Roma. È inoltre docente presso lo IED di Milano, la Scuola di Illustrazione Ars in Fabula di Macerata e la Scuola Holden di Torino. Tiene regolarmente workshop presso scuole e festival specializzati. Ha scritto e diretto numerosi film e ha pubblicato molti libri illustrati.
DI
ANDREA OBEROSLER
Andrea Oberosler è un animatore e illustratore trentino.
Lavora per privati ed editori e nel 2019 sono usciti i suoi primi albi illustrati, tra cui “La Maschera della Morte Rossa e altri racconti” (ed. Bakemono Lab), un tributo a Edgar Allan Poe con cui comincia ad esplorare le potenzialità dell'illustrazione gotica. Nel 2019 vince il premio oro nella sezione editoria dell'Annual di Autori di Immagini.
“La bellezza e la felicità non possono esistere senza la tristezza e la bruttezza. Non puoi avere il buono senza il male.” - N. Ceccoli
Gioca con me. Questo è l'invito che viene rivolto al lettore nel libro di cui vi parlo oggi. “Play with me” (ed. Logos edizioni) è una raccolta di alcuni dei lavori più celebri realizzati da Nicoletta Ceccoli, grande esponente del Pop Surrealismo moderno che non ha bisogno di presentazioni. I suoi lavori l'hanno resa una delle illustratrici italiane più conosciute a livello internazionale, sia per le numerose mostre allestite in tutto il mondo che per i prestigiosi premi e riconoscimenti vinti nel corso della sua carriera (tra cui il Premio Andersen come miglior illustratrice del 2001).
Il lavoro di questa artista si è fatto strada nell'immaginario collettivo grazie al linguaggio potente e solido che accompagna le sue opere. Nei suoi dipinti, infatti, ci si ritrova in un tempo sospeso, in mondi di zucchero a colori pastello, in cui le ambientazioni e i personaggi rimandano subito l'osservatore al mondo dell'infanzia e delle fiabe. Ma non c'è solo questo.
Negli scenari creati da Nicoletta torreggiano giovani protagoniste, bambine che sembrano fatte di porcellana che, nonostante l'aspetto dolce e morbido, appaiono potenti e dominatrici. L'apparente delicatezza dell'atmosfera si scontra con un senso di malinconia che arriva dalle protagoniste stesse, giovani adolescenti sul confine tra infanzia ed età adulta, innocenza e maturità sessuale. Nei suoi lavori si mescolano divertimento e grottesco, grazia e violenza, bellezza e efferatezza, creando un cortocircuito percettivo che apre la strada a moltissime letture e domande su ciò che sta accadendo davanti ai nostro occhi. Le protagoniste di queste tavole interagiscono con il mondo che le circonda, fatto ora di giocattoli, ora di dolci antropomorfizzati, ora di creature fantastiche che appaiono in nome della paura dell'età adulta, del dolore di una perdita, della solitudine. Un parterre di personaggi che parlano di un mondo interiore instabile e turbolento, in cui le ambivalenze tra bene e male non solo di soppesano, ma si completano a vicenda.
Come sempre, dopo queste premesse, la persona che meglio può parlarci del suo lavoro è l'autrice stessa. A lei la parola:
Ciao Nicoletta, benvenuta su Illustrada. Il tuo lavoro è molto conosciuto a livello internazionale e naviga fortemente le onde del Surrealismo Pop. Ci racconti qual è stato il percorso che ti ha portata a questa corrente artistica e al tipo di soggetti che rappresenti?
Grazie Andrea del tuo invito! Dopo tanti anni di lavoro come illustratrice per bambini desideravo sperimentare un linguaggio più adulto e così tra una commissione e l’altra ho cominciato a creare questi disegni con protagoniste bambine combattive e crudeli, perse in mondi zuccherosi dove combattono i loro demoni.
Una grande influenza hanno avuto su di me le pittrici surrealiste Remedios Varo, Leonor Fini, Leonora Carrington. Le mie bambine (miei alter ego) sono un po' figlie dei loro numerosi autoritratti nelle vesti di maghe, streghe detentrici di poteri ultraterreni. Ho un grande debito verso Mark Ryden e il suo surrealismo pop , pieno di richiami all’illustrazione vintage, arte colta, in un mix sorprendente e così contemporaneo.
Adoro artisti dai toni scuri come Kubin e Topor, che mettono insieme l’horror con lo humor.
L’iconografia religiosa si riconosce in molti miei lavori, faccio riferimento a San Giorgio e il drago, alle decollazioni. L'arte sacra è piena di santi in preda a tormenti fisici e nello stesso tempo mostrati in tutta la loro sensualità. Come nella famosa estasi di Santa Teresa,nei tormenti di San Sebastiano.
Amore e morte sono forze onnipresenti che convivono nei miei disegni e talvolta piacere e dolore si mescolano fatalmente. Tendo a presentare temi oscuri e talvolta macabri ma sempre con una veste graziosa, femminile, attraente. Voglio che il mio lavoro sia allo stesso tempo divertente e macabro, carino e violento, un mix di inquietante e delizioso.
Se mostrassi solo il lato piacevole di una storia sentirei che manca qualcosa. Non puoi avere il buono senza il male.
“Play with me” è una grande raccolta dei tuoi lavori che trascina l'osservatore all'interno del tuo immaginario. Era un tuo desiderio pubblicare questo catalogo o è una proposta arrivata direttamente dalla casa editrice? E' stata un'idea di Barbara Canepa, che ha notato questi lavori e ha voluto proporli in formato artbook per la sua collana Venusdea. (Play with me è il terzo volume dopo Beautiful nightmares e Daydreams). Riguardandoli riconosco molti temi: ossessioni che rivisito in vari modi, la paura di perdersi in una relazione, di controllare ed essere controllati in un rapporto, la dipendenza dal cibo.
Con le mie bambine dall’appetito smisurato racconto la sensazione di non essere mai soddisfatti e sazi, di volere sempre di più. Parlo di un bisogno di colmare carenze che sono più di affetto che di zuccheri.
Come il tuo percorso di illustratrice ha influenzato le tue opere? Come pensi ci si debba rivolgere all’infanzia quando si crea un’illustrazione? Credo che nella nostra epoca si tenda ad esercitare troppo controllo sull’infanzia, al volerla proteggere da tutto.
Soprattutto nel mondo delle illustrazioni, le immagini meno convenzionali vengono spesso recepite come un’invasione di uno spazio sicuro e protetto. Io credo che storie, immagini e parole servano ai bambini per esorcizzare i loro incubi, ansie inconsce. Per poter crescere abbiamo bisogno di confrontarci con le nostre paure più profonde, non edulcorare il mondo, negare che ne esistano gli aspetti dolorosi. I libri e le illustrazioni possono aiutare i bambini a pensare, immaginare, esplorare il mondo e tentare di cambiarlo.
Le mie opere personali sono meno immediate, più ambigue rispetto alle mie illustrazioni per l'infanzia. Più letture sono possibili. Per me si tratta di creare racconti visivi complessi
che suggeriscono i miei dubbi e illusioni. Paure e ansie di adulta che sono molto personali, ma allo stesso tempo anche universali.
Faccio riferimento all’immaginario infantile, alle fiabe, ma gioco a ribaltarle, a contraddirle.
La mia Cappuccetto Rosso è un lupo travestito da bambina. Cappuccetto Rosso ne ha avuto abbastanza del ruolo della brava bambina e ha liberato il suo lupo. Racconto il passaggio da bambina obbediente ad adulta. Da ragazzina condiscendente, a giovane donna consapevole.
Le mie principesse non aspettano principi che le salvino dai draghi, anzi, sono piuttosto i principi che devono salvarsi da loro.
Ci racconti che tecnica usi?
Ho sperimentato molte tecniche diverse come illustratrice: modellini in plastilina, il fotocollage, il disegno con la tavoletta grafica e photoshop, per rendere il mio lavoro meno ripetitivo, cercando, quando possibile, per ogni storia di tentare un esperimento diverso.
Oggi mi servo quasi esclusivamente degli strumenti tradizionali: pennelli, acrilico, pastelli e aerografo. Sono più apprezzati dai galleristi con cui lavoro e anche io li preferisco. Non amo molto lavorare di fronte ad un computer. Preferisco sporcarmi le mani, avere un contatto fisico con quello che creo.
Titolo: Play with me
Editore: Logos Edizioni
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo di copertina: € 35,00
Pagine: 120
Nicoletta Ceccoli vive e lavora nella Repubblica di San Marino. Si è diplomata all'Istituto Statale d'Arte di Urbino nella sezione di animazione.
Lavora come illustratrice dal 1995 e ha illustrato numerosi libri con editori statunitensi, britannici, italiani, svizzeri e taiwanesi.
Ha esposto per sette volte alla mostra degli illustratori di Bologna, vinto la medaglia d'argento della Society of Illustrators di NY e 4 award of excellence da Communication Art.
Ha lavorato come character designer per un film di animazione prodotto da Luc Besson.
Le sue opere sono state esposte in gallerie in tutto il mondo.
DI
ANDREA OBEROSLER
Andrea Oberosler è un animatore e illustratore trentino.
Lavora per privati ed editori e nel 2019 sono usciti i suoi primi albi illustrati, tra cui “La Maschera della Morte Rossa e altri racconti” (ed. Bakemono Lab), un tributo a Edgar Allan Poe con cui comincia ad esplorare le potenzialità dell'illustrazione gotica. Nel 2019 vince il premio oro nella sezione editoria dell'Annual di Autori di Immagini.
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